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Lettera da Ravenna


​​A fine 2017 anche l’esperienza romana è terminata, devo dire con sollievo (cfr l’unica Lettera scritta da Roma ). Signori giurati, per un anno e mezzo ho onestamente provato a non vivere da turista nella Grande Bellezza, ma devo dire che la scarsa e non eccelsa offerta culturale, l’inesistenza (per non dire il disastro) dei servizi pubblici per muoversi sul territorio, il degrado quotidiano accettato supinamente dalla maggior parte dei residenti e degli ospiti, la sciatteria imperante dal cibo alla pulizia urbana, in sintesi la paralisi mentale e psicologica delle persone incontrate mi hanno fatto andare via con un senso di leggerezza. Dalla provincia romagnola cerco di stroncare le valutazioni positive degli amici nei confronti della capitale: come sempre c’è un abisso fra l’essere turista e provare a vivere in un luogo; questo è valido per le città in cui sono vissuto, dalla Londra fino alla Brexit dell’estate 2016 e ora in piena guerra fredda alla Le Carré, a Monaco di Baviera e prima ancora a Vienna, per citare solo i posti degli ultimi 20 anni.

Penso inoltre che i risultati elettorali italiani del 4 marzo e l’attuale pantano confusionale e politico che ne è derivato facciano ancora di più abbassare il livello qualitativo della nostra vita quotidiana, sia a Roma che nella ex Romagna solatia, da cui proverò ad allontanarmi se possibile.

Certo che mai come oggi i concetti di “home” e “away” presenti nel mio libro “Oltremare” di qualche anno fa sembrano incerti e sfumati.

Ottimisti della ragione cercansi.

Astenersi perditempo.

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