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God save the Queen: Elisabetta pallida madre


E’ tutta femminile l’iconografia della pesante fase storica che il Regno Unito sta fronteggiando: a sintetizzarla è la maschera tragica di Elisabetta nel giorno dedicato al solenne festeggiamento del suo compleanno.

La pallida madre della nazione ha mostrato la sua storica compostezza riconoscendo che il paese sta attraversando tempi bui, trovando parole di compassione per le vittime ed esortando il suo popolo all’unità.

Ha dunque confermato il suo ruolo di protagonista, incarnando ancora una volta (a 91 anni) il secolare simbolo del potere nella sua rappresentazione più ieratica e più popolare insieme.

Al suo confronto la goffa e inefficace premier Theresa May (Day) appare inesistente.

Ma un tratto le accomuna: si tratta di due donne e questo aspetto induce ad una serie di riflessioni sulla specificità storico-politica del Regno Unito.

In primis sulla linea femminile del potere. Del potere in senso lato, da quello politico, strettamente monarchico e non (pensiamo alle regine, ma anche a Margaret Thatcher e Theresa May), a quello mediatico e nazional-popolare della Regina di cuori Diana. Una linea che, al netto di palesi differenze, pare rispondere ad un bisogno profondo, storicamente radicato nell’inconscio collettivo della nazione. I cittadini britannici infatti, al di là di appartenenze

ideologiche e senza distinzioni tra monarchici e repubblicani, conservatori e laburisti, coltivano un legame affettivo profondo con la Corona e in particolare con le sue incarnazioni femminili.

Basti pensare alla simpatia sempre suscitata dalla regina madre, anche nella stampa più radicale, che le dedicava, nel peggiore dei casi, benevole caricature.

Lo stesso Corbyn, repubblicano convinto e noto per il suo “affilato” inglese, ha detto recentemente dopo un incontro con Elisabetta “I had a nice chat with the Queen”…

Del resto, se per gli italiani è ancora difficile abituarsi al ruolo di cittadini, essendo la nostra repubblica una giovane settantenne, possiamo immaginare cosa significhi fare i conti con secoli di donne regine o regnanti, dispotiche o “democratiche”.

Se non tagliare il cordone ombelicale con la propria madre può condurre al rischio di restare adolescenti, forse qualcosa di simile può accadere anche ad una collettività, rallentando, fino a bloccarlo, il processo di trasformazione da sudditi a cittadini.

L’esperienza fatta vivendo in Gran Bretagna ha confermato l’idea che si tratti di una società complessa e contraddittoria, più progredita e al contempo più arretrata di quella italiana ed europea in senso stretto.

Il rapporto con l’autorità pare in qualche modo legato a doppio filo con quello materno in senso lato, con una madre priva della retorica sentimentale tipica del Belpaese, ma carica di significati simbolici molto radicati e profondi.

E così la compostezza regale di Elisabetta, pallida madre appunto, riesce a trasmettere autorevolezza grazie alla capacità empatica col proprio popolo.

Know-how che invece manca totalmente alla May-Bot (acronimo di May Robot), incapace di affrontare il contraddittorio, di ammettere i propri errori, prigioniera di una anaffettività che la rende il prototipo della non-madre per eccellenza. In altre parole: destinata a perdere il ruolo che in realtà non ha mai avuto.

Ma mai come in questi ultimi mesi il Regno Unito ha avuto bisogno di una guida autorevole e ci si chiede ora a chi toccherà l’arduo compito…

Parafrasando Brecht: fortunata la terra che non ha bisogno di eroi (né di eroine).

Carla Babini

Roma - Ravenna, giugno 2017

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