Lettera da Londra 09 / This is London
“Londra è la città che non esiste, è l’inafferabilità, lo spostamento, l’apparizione e la scomparsa, l’identità che cerchiamo e che non troveremo, è la volpe che attraversa diffidente e accorta la strada del ritorno a casa la sera fredda di gennaio e fresca di agosto e che il tuo amico italiano appena arrivato guarda con stupore, è la giacca gialla del ciclista che sfreccia impietosa sul Regent’s Canal e non si cura né di te né di me che guardo i cigni appena nati filare lisci e silenziosi sotto la luce di una luna piena orientale, sono i gabbiani delle periferie lontane dal fiume lontane dal mare che riempiono del loro stridere le tue passeggiate verso il parco sottocasa, sono i curdi dei negozi notturni con gli occhi tristi e fissi sulle telecamere anti-ladro e il “next please” in automatico, sono le caffetterie dell’Est con le torte buone e le bariste uscite dalle scuole d’arte che ci mettono venti minuti per fare un cappuccino ma disegnano cuori o alberi sulla schiuma, sono le ragazze che ti danno veloci sorrisi mentre cammini per strada, veloci come il raggio di sole che spunta dalla nuvola viaggiante e immediato si ritira, è il mendicante che ti augura buongiorno e ti benedice anche se non gli lasci niente perché sa cos’è il capitalismo moderno e il customer service e in fin dei conti capisce che sei un poveraccio anche tu anche se hai gli zeri sul conto corrente, è l’ubriaco, l’ubriaca, gli ubriachi, le ubriache, i barcollanti, i vomitanti, i deliranti, le senza scarpe, le scarpe perse, i tacchi alti e troppo alti, i baci dati e dimenticati, è trallalà trallalà, cibù cibù cibù cibà, è una lista, un elenco, un catalogo, un registro, un inventario, un archivio, un repertorio, è la città di tutte le città che ora c’è ora non c’è, ora esiste ora non esiste.”
Ho aperto questa lettera con le impressioni al volo mandate da Cosimo, un altro migrante, questa volta salentino, arrivato nella capitale diversi anni fa, che qui vive e lavora insegnando l’italiano ad adulti in varie istituzioni.
Dedico qui spazio a Londra per diversi motivi, fra cui la prossima elezione del nuovo sindaco a maggio e l’uscita di un volume di Ben Judah- This is London: life and death in the world city- che è il frutto di una ricerca sul campo durata 2 anni e non è proprio un testo da opuscolo patinato sulla “più grande capitale del mondo”, come immodestamente gli opinion makers locali pompano ormai da anni nella testa degli stranieri e dei britannici che ci vogliono credere.
Cominciamo dal libro, pubblicato da Picador (www.picador.com): in 20 capitoli l’autore, iniziando da Victoria Coach Station e passando, per citare solo alcuni luoghi, da Elephant and Castle, Hammersmith, Knightbridge, Edmonton Green per finire a Lea Bridge Road (il quartiere pakistano) incontra centinaia di immigrati, registra le loro parole e i loro sentimenti, le loro disperazioni e i loro sogni, nonché l’odio interetnico che pervade la maggior parte di queste persone.
Allo stesso tempo spicca la totale assenza o invisibilità di questi esseri sulle pagine dei giornali o nel paludato dibattito nei media sulle condizioni sociali e politiche di una città che si interroga sulla sicurezza dei ciclisti nelle congestionate arterie cittadine o l’introduzione della “sugar tax” per arginare l’obesità dei bambini, nonché il progetto di un nuovo ponte-giardino da 175 milioni di sterline, che collegherebbe Pimlico (dove abito) a Battersea Park.
Naturalmente il tutto condito dalla salsa della Brexit, che rafforza l’idea dell’universo britannocentrico autoalimentato da secoli di propaganda e che ancora va molto forte fra i sudditi della perfida Albione, fra cui alcuni amici miei di lunga data.
Emerge dalle pagine di Ben Judah una città popolata da esseri di varia natura, muratori polacchi sottopagati dai caporali che passano la mattina presto con i furgoni verso i cantieri, musicisti rumeni accattoni, filippine segregate che tentano di fuggire dai loro padroni arabi per ricomincire una nuova vita, giovani arabe prigioniere in lussuosi appartamenti e vigilate a vista da guardiaspalla pagati dagli sceicchi lontani che telefonano ogni sera, l’esercito dei pulitori africani di uffici che prima dell’alba viene scaricato dagli autobus notturni sui luoghi di lavoro. La maggior parte di questi esseri non è registrata da nessuna parte, non raggiunge il salario minimo (6,70 sterline orarie) e le leggi per processare i datori di lavoro (spesso sono sconosciuti che impiegano agenzie interinali) non vengono applicate, se non in minima parte.
Tutto questo non compare nemmeno nella campagna elettorale per il nuovo sindaco della capitale, con Boris Johnson impegnato a scalzare il trono di Cameron e far uscire il Regno Unito dall’Unione Europea (ci sono mai entrati realmente? Non vedo grandi segni di affetto verso Bruxelles…), con Zac Goldsmith, il candidato conservatore, che agita il drappo rosso contro il marxista Corbyn e prevede sciagure se passa il laburista Sadiq Khan. Nessuno di questi comunque, con una città di 9 milioni di abitanti di cui il 45% non è nato qui, denuncia la situazione assurda e potenzialmente dirompente descritta nelle 423 pagine di “This is London”, che vi consiglio caldamente di leggere. Del resto i mondi descritti nel libro non sono per niente comunicanti con l’establishment politico/istituzionale e comunque in massima parte questi diseredati non votano nella più antica democrazia del continente, quindi…who cares.
La foto che chiude questa lettera (la prossima sarà probabilmente l’ultima di questa serie, amici lettori) l’ho scattata una fredda domenica di marzo lungo il Tamigi, vicino ai cantieri che preparano un altro insediamento residenziale megamiliardario (3 milioni e mezzo di sterline per appartamento, mi hanno detto gli ingegneri sul posto, ma se ne prendo 2 si può trattare) a Battersea Park, sul luogo della vecchia centrale a carbone, una delle icone della Londra da bere.
La faccia curiosa del bambino (bianco, biondo e sicuramente con buona scuola davanti a sè) che è in attesa di scoprire la nuova comunità di cui farà parte rappresenta bene l’enorme divario sociale fra questa parte della capitale e le centinaia di migliaia di esseri che vagano nei suoi quartieri, con molti che dormono nei sottopassaggi a due passi da Hyde Park Corner e dai suoi alberghi a 5 stelle lusso.