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Lettera da Londra 02 / 03

E’ la religione, bellezza.

Al mercato di Brixton e altrove, of course.

Rieccoci qua dalla capitale inglese di un regno minacciato nella sua unità dal referendum scozzese in settembre sulla separazione dal resto dell’isola. Qualunque sia il risultato le istituzioni del Regno Unito comunque subiranno profondi cambiamenti, con il Galles che già vuole sganciarsi dal soffocante potere centralizzato di Londra e la Scozia che vuole assicurarsi comunque condizioni e garanzie più favorevoli delle attuali.

Altre cose naturalmente sono successe negli ultimi mesi, dalla mia prima lettera da Londra in autunno 2013.

Dalle inondazioni in Galles e Cornovaglia al tentativo di restringere i diritti degli immigrati e dei rifugiati, dall’aumento esponenziale dei costi delle case a Londra all’allarme interno sul terrorismo islamico (Isis e altre sigle in rete che mostrano cittadine e cittadini britannici che partono per l’Iraq e l’Afghanistan per aiutare i loro confratelli armati) sono stati mesi in cui le “Breaking news” sui maggiori network apparivano ossessivamente e sistematicamente, secondo collaudati copioni.

A fine agosto la decapitazione di un giornalista americano scomparso in Siria dal 2012 trasmessa sui “social media” usati da Isis ha fatto salire ancora di più la tensione e l’allarme interno nel Paese.

Infatti torna alla mente a tutti il 7/7, e cioè gli attentati che nel 2005 a luglio fermarono la metropolitana di Londra causando più di 50 vittime e furono pianificati ed eseguiti da British nationals che vivevano qui.La voce fuori campo che commentava l’esecuzione del giornalista statunitense aveva un accento britannico e questo per una platea inglese ha una valenza difficile da spiegare se non si vive qui: va a toccare corde molto sensibili. Alcuni servizi in varie tv raccontano di giovani studenti e studentesse (di religione islamica) in Gran Bretagna che pensano di partire per la Siria o l’Iraq per raggiungere il Califfato (qualunque cosa questo possa significare).

Il discorso sulla/sulle diverse identità in questo paese qui aprirebbe spazi enormi di dibattito, ma non credo che la classe politica britannica, rappresentata nei 4 partiti che andranno al voto, ormai destituita di reale potere a favore delle banche internazionali e dei reali poteri forti con sede fuori dell’isola, se lo possa/voglia permettere, a un anno dalle elezioni politiche del 2015, anche per il timore che lo Ukip raccolga in patria i successi che ha ottenuto nelle europee di quest’anno. Da registrare di recente una grande manifestazione colorata a sostegno del popolo di Gaza che ha invaso ad agosto Regent Street e Hyde Park. La varietà delle facce presenti mi ha ricordato che questa è probabilmente “la” capitale europea, con tutte le sue diversità, i contrasti e lo specchio del vecchio continente.

Qualche giorno prima Parigi mi era sembrata sì una capitale (anche più armoniosa architettonicamente) ma quasi un cliché, immobile nei suoi luoghi comuni e quasi incrostata.

Poi da lì ero andato in treno e in autobus fino a Calais, passando da Boulogne sur Mer con le scogliere inglesi di fronte, quelle che Napoleone aveva progettato di raggiungere con la sua flotta. In effetti sembravano veramente a portata di mano, soprattutto in un giorno luminoso e caldo, ma sia il piccolo Corso che il piccolo Fuehrer si sarebbero resi conto della difficoltà di una invasione della perfida Albione.

La città di Calais oggi si presenta come un posto di frontiera/passaggio per le centinaia di camion che trasportano merci verso l’isola (e vengono usati dai migranti che tentano disperatamente di raggiungerla sfuggendo ai poliziotti francesi che pattugliano il porto con i cani e sofisticate attrezzature). L’autista di un autobus mi raccontava che il centro della città ora è quasi deserto e le attività connesse al tunnel sotto la Manica hanno spostato il baricentro fuori Calais, a sud, lasciando in città centinaia di edifici ed esercizi vuoti, in vendita o in rovina molto visibile.

A giugno c’è stata un’altra invasione in Normandia, quella dei (pochi) reduci dello sbarco del 1944 e delle (molte) televisioni e dei capi di stato e di governo per le commemorazioni.

Quest’anno poi l’Inghilterra ricorda anche il centerario della Grande Guerra del 1914, e lo fa con molte iniziative, dalle biblioteche e librerie inondate da centinaia di volumi alle televisioni che trasmettono spezzoni e ricostruzioni storiche di una guerra di movimento (sulle ferrovie inglesi, belghe e francesi) che poi si impantanò nel macello delle trincee, un anno prima che l’Italia si decidesse da quale parte stare.

Ho lavorato come volontario in una Charity di Westminster per diversi mesi con 2 gruppi di immigrati e rifugiati.

Abbiamo organizzato corsi di fotografia, prestato loro macchine fotografiche con rullino (le mitiche Ilford hp4 etc) e siamo andati in giro per la città con i nostri corsisti che scattavano in libertà a seconda dei soggetti. Poi in camera oscura abbiamo sviluppato e stampato assieme le loro foto, e questo mi ha rimandato agli anni ’60, quando con amici dell’università passavamo le notti a fare le stesse cose in uno scantinato in campagna vicino a Ravenna.

Su un sito (www.my-journey.org.uk) abbiamo poi selezionato il materiale fotografico e i racconti di alcuni rifugiati. Ai primi di ottobre allestiamo a Londra una mostra per una settimana, tentando di coinvolgere il quartiere e i suoi abitanti. (www.shoreditchtownhall.com)

Durante questi incontri naturalmente tentavamo anche un approccio umano con queste persone, alcune delle quali hanno cominciato a raccontarci la loro odissea, che per qualcuno è stata anche un calvario. Per loro la narrazione sembrava essere quasi una terapia, anche se nel nostro gruppo di trainers non c’erano psicologi addestrati a ricevere /elaborare questi casi.

Infatti chi vi scrive non ha dormito diverse notti, tormentato dalle atrocità sofferte in patria e narrate dai “corsisti”, due dei quali mi hanno raccontato di vari tentativi di suicidio qui ed ora in Inghilterra.

Ci lasciamo qui, cari lettori italiani e non, alla fine di una estate britannica con temperature che vanno dagli 8 gradi notturni ai 21 diurni, come se l’isola fosse, e forse è, raggelata in attesa di eventi che non sa più controllare.

MM

Lettera da Londra 3

Ciao a tutte/i,

questa volta sono tornato nella perfida Albione passando in treno da Genova, Ventimiglia, Marsiglia e da lì ho preso al volo un low cost per Londra.

Da Genova sono passato per vedere amici poco prima del disastro che ha mandato sottacqua il centro cittadino a metà ottobre.

Sono tornato nei carugi 13 anni dopo le giornate del 2001, quelle di Carlo Giuliani, della Caserma Diaz e dei fatti che successero in quei giorni, ancora presenti sulle scritte non cancellate per le strade della città. In quei giorni noi che avevamo al collo macchine fotografiche eravamo tra i prediletti dalla polizia, carabinieri e guardia di finanza in assetto di guerra.

Arrivando qualche giorno dopo a Marsiglia, che avevo visitato da solo per la prima volta all’età di 16 anni, ho trovato le cose comuni alle città sul mare, i vicoli abitati dai molti immigrati e dai locali poveri, alcune zone che è meglio non visitare di notte, con molti che dormono nei cartoni, anche dietro la stazione ferroviaria principale, la presenza dell’acqua vicina e le navi in arrivo e in partenza.

Marsiglia è stata capitale europea della cultura nel 2013, e mi dicono che ha ricevuto ingenti fondi per la ristrutturazione del centro storico; non oso pensare come fosse prima: mi ha ricordato Algeri, che ho conosciuto nei primi mesi del 1980, in compagnia di un amico algerino che di sera mi portava nella Casbah, quella della battaglia di Pontecorvo.

Mi sono regalato una giornata a Aix en Provence, e lì si cambia totalmente atmosfera, con i mercatini di pesce, formaggi, salumi all’aglio e bric à brac della Provenza che abbiamo introiettato nella memoria visiva e che esistono ancora.

L’aeroporto di Marsiglia è diviso nettamente in due: da una parte le ampie sale di partenza e di arrivo con tutti i servizi delle maggiori compagnie aeree, dall’altra, a 200 metri di distanza, noi che viaggiavamo in low cost, in maggioranza arabi e neri in mezzo a cantieri e tubi innocenti verso i cancelli di imbarco.

Il rientro a Londra mi ha rimesso in contatto con tutti gli aspetti della capitale, così avulsa dal resto del regno (ancora unito dopo il referendum scozzese) e con gli abitanti north of the border che ora chiedono che si mantengano le promesse fatte in campagna elettorale da un Cameron a cui si spezzava il cuore in caso di vittoria dei sì.

Diversi analisti e commentatori politici ritengono che il referendum scozzese riaprirà comunque la questione della devolution fra Edinburgo, Cardiff, Belfast e Westminster, con ipotesi che vanno da uno stato federale tipo Canada ad un cambiamento legislativo dei bills approvati a Londra che finora valevano per tutto il Regno Unito.

Oltre agli anniversari del 2014, il 2015 vedrà quello della Magna Carta: più simbolico di così….

Le due elezioni supplettive per 2 membri del parlamento hanno visto lo Ukip di Farage mietere voti a man bassa nell’elettorato dei principali partiti, dando così voce a sentimenti di paura e chiusura popolare nei confronti degli immigrati e di chi tenta di venire in questo paese in cerca di una vita decente, a volte fuggendo da realtà per noi occidentali anche democratici difficilmente immaginabili.

L’intervista a Newsweek di Farage ha poi raggiunto apici di puro razzismo (vuole impedire l’ingresso in Uk ai malati di Aids etc…..).

C’è in molte interviste a gente comune un distacco e anzi risentimento nei confronti dei politici di professione e dei loro privilegi (che novità per noi italiani….), dell’Europa vista come una burocrazia sovranazionale i cui costi inutili non devono essere pagati dai britannici, i quali vogliono comunque negoziare la loro presenza europea, prima di un ventilato in-out referendum da svolgersi in teoria nel 2017.

Con le elezioni politiche del 2015 alle porte, tutta questa rabbia non si capisce ancora dove sarà convogliata e verso quali partiti.

Due cose tengono le prime pagine e le breaking news da settimane: Ebola e il timore del terrorismo interno.

Gli aeroporti e le stazioni vedono una presenza di agenti di pattuglia vistosamente armati, e a Heathrow iniziano i controlli sanitari per i passeggeri di provenienza sospetta, anche se diversi medici sottolineano l’incertezza delle misure intraprese (se un passeggero presenta sintomi fuori della norma si mette in quarantena tutto l’aereo?). Le misure si estenderanno presto anche agli aeroporti di Manchester e Birmingham.

Il paese si sta ora preparando ad un periodo di 10 anni di difesa dal terrorismo (dichiarazioni ufficiali), dopo l’impegno della RAF in Iraq e il timore che i combattenti di origine britannica (stimati attorno alle 500 unità) che hanno raggiunto Isis tornino nel Regno unito.

Vi saluto in compagnia di alcune note scritte da una giovane amica (chiamiamola Molly) che vive a Londra da alcuni anni e così sente la città e i suoi abitanti:

Poi ci sono i ritmi frenetici: qui non si cammina mai, si va di fretta. Si è sempre in ritardo per qualcosa di più importante – qualsiasi cosa sia. E poi c’è l’individualismo spinto, quel modo di vivere e pensare gli altri che così poco mi appartiene, nonostante l’egoismo da istinto di sopravvivenza. Il leit-motiv è: “sgomito, così sulla prossima metro ci salgo io e non tu. Ma lo faccio in maniera sommessa, non sia mai che risulti maleducato”. Le enormi distanze su cui la città si stende e si spande costringono a una solitudine che neanche i gatti sopporterebbero. È già tanto e non bisogna lamentarsi se gli amici cari si riescono a vedere una volta ogni due settimane. Un lusso. Altrimenti può passare anche un mese, se non di più. Ed è già comunque uno stress. Da una volta all’altra si pianifica il prossimo incontro, ma succede che vuoi per vita, lavoro, residenza ai poli opposti, piuttosto che corso di tai-chi-chuan o di ceramica raku post-orario di lavoro che dir si voglia finisce sempre che non se ne parla se non tra almeno un paio di settimane. “Eh, questa settimana devo vedere tizius and caius, ché non li vedo dal 1987. Ma se vuoi puoi venire anche tu, mica facciamo le società segrete”, tanto per citare una delle frasi più tipiche.

Da quando sto qui, pure io che ho una prossemica tutta mia, tutta amplificata e s-centrata patisco la mancanza di umanità. E non sto parlando di empatia intellettuale, quella la si trova comunque. Sia via Skype, sia quella volta al mese in cui finalmente gli orari diventano compatibili con quelli dei veri amici. Parlo piuttosto di assiduità, di contatto fisico. Di quotidianità. È sempre tutto un fare resoconti del tempo che è intercorso dall’ultimo incontro, con la necessaria e pericolosa conseguenza del distacco razionale e ragionevole dai fatti. Quand’invece servirebbe – come serve ad ogni essere umano – un confronto diretto con i fatti e le reazioni ai suddetti lì per lì mentre accadono. È come se tutto fosse sempre già inevitabilmente processato, digerito, compreso, risolto nel racconto a posteriori. E lo dice una che non ha bisogno della balia per decidere come agghindarsi al mattino, che non ha bisogno del gruppo di supporto emotivo mentre fa la spesa. Sul serio.

Una città che non ammette una quotidianità umana impone l’accoppiamento casuale e selvaggio. E se, come noi, sei solo per scelta, selettività, sfortuna, brutto carattere o caso, sei spacciato. Non saprai mai se gli scatoloni in cui hai messo i tuoi libri e i tuoi pensieri pesino più di trenta chili, come non saprai mai effettivamente che in realtà anche tu possiedi un corpo. Non hai corpo in questa città se non c’è qualcuno a casa che ti vuole bene. E normalmente a casa tua ci sono sconosciuti che rifuggono ogni incontro e abbassano lo sguardo ad ogni buon giorno. Nessuno ti tocca, nessuno ti sfiora (e se succede è per sbaglio e ti chiedono subito scusa), nessuno ti abbraccia né ti dà un bacio sulla guancia o sulla fronte. Il risultato? È che piano piano diventi refrattario, retrocedi al grado zero, non riconosci più questa forma di comunicazione, quella fisica, quella tattile ed empatica. Qualche mese fa, per quanto fossi influenzata, sono andata a trovare la mia padrona di casa di allora perché dovevamo discutere di alcune faccende. Bene, salutandomi sulla porta mentre me ne andavo, lei mi ha carezzato le spalle, augurandomi di guarire presto. Il mio corpo disabituato ha reagito all’ormai insperato contatto fisico, alla dimostrazione di affetto solidale con reale commozione. Adesso capisco com’è che anni fa, quando ancora non avevo formalizzato quest’intuizione ed ero arrabbiata per via di tutta questa indifferenza, avevo pensato di fare una performance terroristica sulla metropolitana, abbracciando dolcemente le persone con cui ero costretta a condividere il mio spazio personale così compresso durante l’ora di punta. Se lo meriterebbero, oggi ancor di più. Ce lo meriteremmo tutti, altroché. Tutti meritiamo degli abbracci più o meno sentiti di tanto in tanto. Non dico tutti i giorni. Anche se sarebbe preferibile visto il freddo che fa”.

Ps:

Alcune cifre dall’ “altra Londra” pubblicate in un piccolo mensile che si chiama the Pavement (il Marciapiede, tipo Piazza Grande a Bologna) e viene distribuito gratuitamente in vari luoghi della città. (www.thepavement.org.uk)

Nei numeri di settembre/ottobre 2014 si pubblicano le cifre degli arresti per accattonaggio (begging) nella capitale, passati dai 375 del 2011 ai 514 nell’anno seguente ai 700 del 2013. La sanzione per chi chiede la carità è di 200 sterline. Tutto questo in nome del Vagrancy Act, risalente alla legge vittoriana. In Scozia l’accattonaggio non è contro la legge.

Diverse associazioni (charities) affermano che l’aumento delle persone che chiedono l’elemosina è causato dal taglio dei benefici sociali, e parte di questi individui poi entra nel mondo dell’alcolismo e delle droghe legali e non.

A proposito, nel 2013 si sono registrate 765 morti per eroina o morfina in Inghilterra e Galles,

con un aumento del 32 % rispetto all’anno precedente. Il totale contando altre droghe fra uomini e donne passa a 3.000 unità. Questo brusco aumento non si registrava dai primi anni 90.

A St Martin in the Fields, a 50 metri dalla National Gallery in Trafalgar Square, dove ogni tanto vado a mangiare nei sotterranei della Cripta, il 6 novembre è prevista una cerimonia di commemorazione per i senzatetto morti nell’ultimo anno. Il titolo è : Consider the Lillies.

Quando dico agli amici e conoscenti che abito a Westminster, a un miglio da Victoria Station, la reazione è : sei nel centro del centro, wow !

A metà ottobre l’Associazione End Child Poverty ha pubblicato alcuni dati che si riferiscono alla povertà infantile: circa il 40% dei bambini con famiglie che abitano nel borough di Westminster è sotto la soglia di povertà (below breadline).

La zona è la quinta nella triste classifica in Gran Bretagna dopo Manchester e 3 quartieri dell’ Est londinese. Alcune proposte per migliorare la situazione denunciano lo scandalo dei bassi salari e i costi abitativi, chiedono che si riavvii l’edilizia popolare e si smetta di costruire case di lusso nel centro, arrestando l’espulsione dei ceti popolari e anche della classe media da queste zone.

Sabato 18 ottobre una grandissima manifestazione dei lavoratori pubblici ha invaso il centro della città e altre 2 si sono svolte a Belfast e Glasgow. La TUC (Trade Union Congress) ha portato decine di migliaia di persone in piazza che dicevano basta ad una situazione insostenibile di vita e lavoro: questa è una delle tante questioni inglesi da risolvere nei prossimi mesi; il governo ha risposto per ora che non può farci nulla.

Pps: il congedo di questa terza lettera lo faccio esprimere da Anna Livia, che ha un passato e un presente itinerante di lavoro in Europa:

“riverrun

fluidofiume

ininterrotto scorre il tempo in questa città mai statica, ma per nulla acquatica,

dove di femminile sento spesso solo echi lontani

oggi, immersa nella luce grigia d’autunno atlantico, rivedo le sue tracce lasciate sulla riva cercando i sassi con cui riempire le tasche prima di varcare l’ultima, liquida soglia

lei, pallida madre, orfana di figli, ha generato pagine fitte di scrittura capace di sfidare il tempo

telmetale of stem or stone…

terra petrosa questa, sotto il verde vivido dei prati

roccia, scogliera, bastione, frontiera

isola isolata, fiera del suo isolamento

lontana dal continente mille volte la manica

qui per andare all’estero devi raggiungere l’oltremare-overseas

terra di marinai e pirati, di mercanti e viaggiatori, aliena al culto di gea-madre

che nutre e affonda radici nella stabilità

qui è tutto precario e instabile, veloce e labile

come le nubi spazzate dal vento

come il seme sparso dall’uomo

beside the rivering waters of

l’acqua è solo cornice e contorno

nostalgia di opalescenza e sospensione

di quella leggerezza che un fluido primordiale emana e consente

nostalgia del mare opaco della mia infanzia

di terre danubiane

persino della roma madre matrigna abbracciata da un tevere mai stato biondo

forse era tempo di misurarsi con l’estraneità, l’isolamento, la solitudine

mai come qui, ora, dimensione assoluta

a way a lone a last a loved a long the


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